Abu Dhabi sta per acquistare il logo dalla Francia per 500 milioni di euro
Con opere e consulenti del museo aprirà un centro culturale nel Golfo Persico
Parigi pronta a cedere il "marchio Louvre"
ma esplode la rivolta: "L'arte non si vende"
La ex direttrice dei Musées de France: "E' la negazione del servizio culturale"
Jack Lang: "Dovremmo esserne fieri, basta con la fruizione per pochi privilegiati"
Parigi pronta a cedere il "marchio Louvre"
ma esplode la rivolta: "L'arte non si vende”
IL Louvre come McDonald's, Disneyland, l'Hard Rock Café. Un logo, un marchio, una certezza nella fruizione non di un McChicken o del Magic Kingdom Park o delle memorabilia del rock'n'roll ma di opere d'arte. Un'operazione, quella della vendita del "marchio Louvre", che porterebbe nelle casse della Francia centinaia di milioni di euro. Alla quale il governo di Parigi sta lavorando di concerto con le autorità di Abu Dhabi, perché l'emirato che si affaccia sul Golfo possa applicare il marchio Louvre a un centro culturale del Paese. E Oltralpe, com'era prevedibile, si anima il dibattito.
E' bastato l'annuncio di un accordo, sebbene ancora in nuce, per spaccare a metà le intelligenze francesi sull'opportunità, o lo scandalo, di aprire il "Louvre des sables" - come lo chiama l'edizione online di Libération - con il trasferimento, seppure in prestito, di alcune centinaia di pezzi, quadri, sculture, porcellane, mobili. A ciò si aggiunga che il museo parigino - che ormai conta otto milioni di visitatori l'anno - ha già firmato un accordo che prevede il prestito, a pagamento, delle proprie opere all'High Museum di Atlanta, negli Stati Uniti.
Le notizie sul contratto di cessione del marchio sono ancora indiscrezioni, ma Libération parla di circa 500 milioni di euro che l'emirato sarebbe disposto a pagare per ottenere non solo l'uso del marchio Louvre, ma anche i prestiti delle opere, le expertise per la formazione del personale e tutto quel che occorre per lanciare un nuovo strumento culturale a livello internazionale.
A sollevare lo stendardo della rivolta è stata Francoise Cachin, ex direttrice dei Musées de France, la struttura di gestione dei musei nazionali. Con un articolo su Le Monde, dall'inequivocabile titolo "Les musées ne sont pas à vendre", ha lanciato una petizione, sul sito Latribunedelart, per "mantenere l'integrità delle collezioni dei musei francesi", alla quale hanno aderito sovrintendenti di musei, storici dell'arte e archeologi.
"E' la negazione stessa della funzione del servizio culturale - scrive Cachin - cedere il marchio Louvre a un museo, realizzato in una località turistica e balneare, in un Paese di 70mila abitanti". Una forma di "business-spettacolo", sull'esempio "disastroso del Guggenheim di New York, ormai una catena da Venezia a Las Vegas".
Fra i motivi di contestazione, Cachin sottolinea i "fini diplomatici" dell'operazione, con riferimento al fatto che Abu Dhabi è un importante socio commerciale della Francia, nel quale il Paese ha esportato, nei primi 10 mesi del 2006, in particolare nel settore aerospaziale, per 2.757 milioni di euro.
Meno intransigenti gli interventi su Libération. L'ex ministro della Cultura, Jack Lang, difende l'operazione e sostiene che "dovremmo essere fieri della presenza internazionale del Louvre, un riconoscimento del nostro savoir faire, un segno di continuità della nostra cultura". E critica "quella minoranza che pratica l'appropriazione culturale e morale e che vorrebbe riservare la fruizione delle opere d'arte a una ristretta cerchia di privilegiati".
Anche Le Figaro si schiera con l'iniziativa e ricorda che nel 1963 l'allora ministro della cultura, Andrè Malraux, aveva dato in prestito agli Stati Uniti proprio una delle icone del Louvre, la Gioconda, e che l'ex presidente Francois Mitterrand aveva inviato nel 1993, al governo della Corea del Sud, un manoscritto reale coreano appartenente alla Biblioteca nazionale francese (suscitando le proteste dei conservatori di quella istituzione).
L'attuale direttrice dei Musei di Francia, Francine Mariani-Ducray, riafferma "il principio assoluto di inalienabilità delle collezioni pubbliche" e garantisce "la qualità e la correttezza" dell'operazione: non comporterà alcuna conseguenza dannosa per il Louvre, si baserà essenzialmente su consulenze e sul prestito di alcune opere, cosa che - taglia corto - "avviene abitualmente fra tutti i musei del mondo".
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